Proposte per una discussione ed un confronto estivo

Il dibattito sul futuro del Cattolicesimo Democratico ● Carlo Baviera

(La questione o se  si vuole le questioni complesse che accompagnano una possibile ripresa della presenza di cattolici nella vita politica locale e nazionale, oppure una temibile e temuta loro definitiva emarginazione, hanno spesso coinvolto anche i ragionamenti che abbiamo proposto su AP (Appunti alessandrini). Ora tenteremmo di raccogliere le opinioni al riguardo dei nostri lettori e lo facciamo pubblicando l’analisi problematica e sorretta da espliciti interrogativi di Carlo Baviera. Speriamo in un certo numero di interventi per poi trarre conclusioni, soprattutto in tema di contributo riformista di cattolici nelle varie forme della politica; del loro rapporto con la Chiesa nella realizzazione di una imprescindibile autonomia aconfessionale; della possibile ed auspicabile pluralità di collocazione senza dispersione dei fondamenti della loro vocazione alla costruzione della città dell’uomo; del loro apporto programmatico nella definizione di autorevoli o almeno adeguate identità politiche; del loro contributo alla ricostruzione di elite capaci di affrontare la domanda del tessuto sociale di oggi. Va da sé che la nostra breve introduzione redazionale, non intende indirizzare il dibattito privandolo della ricchezza che potrebbe offrire seguendo lo schema Baviera; essa introduzione serve solo per spiegare il perché della nostra iniziativa. Ap)

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Chi è immerso direttamente nell’impegno politico e/o amministrativo potrà avere una visione più concreta e approfondita. E chi fa parte del mondo produttivo e del lavoro conosce sicuramente meglio le questioni “vere” e quotidiane da affrontare, le paure, i rischi, le necessità.

Punto 1 – Nel 1994, molti di noi hanno compiuto una scelta precisa; tentare il terzo tempo della presenza politica del popolarismo nel PPI di Martinazzoli (in alleanza con Mariotto Segni –allora col vento in poppa, tipo Renzi oggi – e con i socialisti di Amato). Sappiamo come è finita. Intanto, a fronte della vittoria di FI, Lega, AN e di una legge elettorale (Mattarellum) che sostanzialmente favoriva il bipolarismo, dai Popolari nasceva la candidatura di Prodi per una coalizione di centro sinistra da opporre al polo conservatore, bloccando lo strisciante tentativo di Buttiglione di avvicinarsi al Polo delle Libertà. Di lì prese avvio l’esperienza dell’Ulivo, vincente due volte, ma debole per il permanere di alcuni “cespugli” insieme ad un arbusto maggiore PDS che non davano all’elettorato il senso di obiettivi comuni e di superare i personalismi dei leaders. Poco alla volta, e non senza ambiguità ed incertezze, si fa strada l’idea che si debbano superare le vecchie appartenenze organizzative e partitiche, per costruire il Partito Democratico.

Punto 2 – Il PD, che presuppone il “bruciarsi le scialuppe e i ponti alle spalle” per giungere ad una nuova cultura politica plurale, abbandonando senza rinnegare le culture di origine, deve essere l’unione tra i riformisti, deve essere plurale, deve affrontare in modo nuovo i problemi nazionali ed essere in sintonia con i democratici e i progressisti a livello internazionale. Alcuni cattolici democratici “storici” non aderiscono e restano fuori (Bodrato, De Mita, Gerardo Bianco, Dellai, …), mentre il grosso degli ex popolari, già passati attraverso la contaminazione della Margherita, diventano soci fondatori e ne assumono cariche di rilievo sia nel partito che in Parlamento o nel Governo.

Punto 3 – Mentre alla costituzione del PD molti erano convinti che, pur con qualche incertezza e timore dato dall’abbandono di sicurezze organizzative e ideali, quel passo fosse ineluttabile e utile anche elettoralmente per non perdere voti e per tenere insieme i propri sostenitori, si è constatato poco alla volta che alcune problematiche non si sono (o non si sono potute/volute) affrontate: l’identità del partito (socialdemocratico, di sinistra, o riformatore ma fuori dai vecchi contenitori europei?) e quindi la sua collocazione internazionale; le questioni etiche, al di là dello sforzo di trovare un equilibrio, si sono considerate un aspetto confessionale da cui guardarsi, rendendo difficile l’espressione della libertà di coscienza nel rispetto di tutti (quale significato attribuire alla laicità del partito?); una apparente afasia sui temi istituzionali (come difendere l’attuazione e l’integrità della Costituzione, come valorizzare le autonomie e la partecipazione? come rimettere mano all’organizzazione istituzionale);  non aver cercato prima un equilibrio rispetto a come riformare il welfare senza mettere in discussione diritti e tutele,  a come liberalizzare senza lasciare mano libera al turbo capitalismo e alla finanza.

Punto 4 – I cattolici popolari nel PD. (Da ricordare che questi, generalmente sono stati lasciati soli dalla loro comunità e da tanti pastori, che guardavano più al Cavaliere che li rassicurava, a parole, perché indaffarato con il resto).  Il dubbio di alcuni è stato se stare nel PD come corrente o se lievitare altri gruppi interni. Restando corrente si sarebbe preservata visibilità e sostenuto con più forza qualche proposta, ma si sarebbe stati più decisivi nella vita di partito? Si sarebbe contribuito in modo consistente a forgiarne la nuova identità? Si sarebbe dato impulso ad una formazione riformatrice nuova nei valori, nei programmi, nella rappresentanza sociale?  L’equilibrio poteva essere rappresentato da forme di collegamento pur aderendo ad altre posizioni (o attirando altre personalità: vedi AreaDem con Franceschini, Fassino, Sereni, Damiano, Castagnetti, .. oppure Demcratici Davvero con Bindi, Marino, Magistrelli, Monaco, ecc.).  La demarcazione fondamentale, però, anche per gli ex popolari è rappresentata da coloro che sono favorevoli al Bipolarismo, al maggioritario e all’uninominale, alla primarie come “valore non negoziabile” e quanti pensano per le ragioni più diverse al proporzionale, ad un sistema più di coalizione, a rappresentanze nel partito rispettose della pluralità delle idee, e alle primarie come strumento che non sempre è utile.  C’è anche da ricordare che per alcuni si è pensato al PD “considerando la questione cattolica – come scrive Bodrato – il punto di forza della scelta di militare nel Pd, senza calarla nel tempo presente;  significa ritagliarsi un ruolo confessionale in un partito plurale e comporta la rinuncia a una più significativa influenza sull’identità del Pd e sul suo progetto riformista”.

Punto 5 – Chi è uscito dal Pd o si sente in difficoltà standovi dentro, lo è per lo più per questi equivoci iniziali. Perciò sarebbe necessario, soprattutto in periodo congressuale, ripartire da quei nodi. E la stessa impresa dovrebbe essere richiesta a coloro che hanno compiuto scelte diverse: Scelta Civica, UDC, Centro Democratico, la Rosa per l’Italia di Pezzotta. A proposito di SC e UDC: riproporre una prospettiva centrista è utile per uscire dal bipolarismo della Seconda Repubblica? Avere come prospettiva il PPE e lavorare per una grande coalizione strategica può contribuire a realizzare il cambiamento riformista e riportarci a pieno titolo in Europa? Mentre per Cd (Tabacci) e per la Rosa (Pezzotta, molto più tonico e incisivo dopo che ha cessato il suo impegno parlamentare e si è riavvicinato al centro sinistra) rappresentano il modello di forza politica riformista e popolare legata ad una visione solidarista, di Stato rispettoso della società civile, di gestione pubblica non solo come presenza di Enti statali, che il PD non sempre ha soddisfatto?

Punto 6 – Il centro sinistra con o senza trattino? E il PD a vocazione maggioritaria? Anche nella Prima Repubblica le coalizioni si costruivano attorno al Partito “perno” dell’alleanza (la DC); quindi è naturale che vi sia una tendenza maggioritaria da parte della forza più rappresentativa, ma questo non significa necessariamente tendenziale bipartitismo e annullamento di ogni altra presenza.  Il bipolarismo (la cosa è da discutere) non potrebbe essere più opportunamente realizzato chiedendo, prima delle elezioni, di indicare la coalizione con cui e per cui si compete, stabilendo prima programmi, leadership, ecc.? Se così fosse il problema del centro sinistra con o senza trattino, come partito federato, o altro ancora consentirebbe di mantenere la possibilità di far valere eventuali posizioni o proposte alternative all’interno dell’area riformista, e di rivolgersi ad aree di elettori più ampie e diversificate. Il rischio di contro sarebbe costituito dal mantenimento di identità e di “bandiere” solo utili a garantire alcuni personaggi; o a contrattare e ricattare nel momento delle  trattative per la costruzione delle alleanze. L’unica cosa che andrebbe preservata (anche questo è da discutere, c’è il rischio del clericalismo e del confessionalismo) è la possibilità di non accantonare, anzi di considerarlo un riferimento utile, l’insegnamento sociale della Chiesa che presenta gli aspetti antropologici, quelli solidaristici e sussidiari, oltre ai valori di libertà e giustizia.

Punto 7 – Cambiare i paradigmi di riferimento: ambiente, pace, sviluppo, persona e comunità.  Per trovare una via di uscita dalla insoddisfazione di tanti ex popolari e dare gambe e respiro ad una iniziativa si indicano alcuni aspetti che si sottopongono alla riflessione e rielaborazione; queste devono avere l’obiettivo –qualunque sia la soluzione finale (rafforzare il PD o abbandonarlo, entrare in forze di Centro o lavorare per qualcosa di nuovo)- di schierarsi nel campo riformatore, di contrapporsi a visioni moderate  e conservatrici, di contendere elettorato alla sinistra con politiche “sociali”, innovative, pluraliste, partecipative, capace di mettersi al fianco di chi nel modo combatte battaglie per i diritti e la democrazia;

a) come già accennato, autonomia, aconfessionalità, pur con riferimento alla Carta Costituzionale e all’insegnamento sociale della Chiesa (e al Concilio); visione di società pluralista, delle autonomie locali e sociali; centralità del lavoro, dell’impresa con responsabilità sociale, della famiglia soprattutto se numerosa e con persone non autosufficienti; sviluppo del Terzo Settore e dei nuclei intermedi (associazioni, cooper.).

b) considerare l’impellente necessità di cambiare il modello di sviluppo. Devono cambiare stili di produzione, di consumo, di vita. Se la cosiddetta decrescita felice può avere limiti, è ormai dimostrato che il modello capitalistico ultra liberista è fallito. L’avanzata dei Paesi emergenti e lo sviluppo di quelli un tempo sotto la soglia di sopravvivenza, sono un fatto positivo, come lo è il tendenziale evolversi verso forme democratiche di nazioni un tempo sedi di dittature; ma questa crescita economica di vaste aree del pianeta ci pongono problemi nuovi,come la capacità di produzioni più qualificate, nuova democrazia economica, nuovi modi di lavorare; ci chiedono di acquistare e consumare in modo etico, rispettando chi applica i diritti e difende l’ambiente.

c) l’ambiente è l’altro tema che ci deve vedere in prima linea. Ciò significa essere contro ogni infrastrutture, ogni nuovo insediamento produttivo? Penso di no, anche se (non entro nel merito se sia opportuno o meno, anche se non possiamo restare fuori dai corridoi europei) non si può pensare alle grandi opere (TAV, Terzo Valico) dimenticandosi di tutto il sistema periferico dei trasporti e delle comunicazioni. La manutenzione delle Strade locali e le tratte utili a studenti e lavoratori di zone periferiche sono ugualmente essenziali. L’attenzione alla salvaguardia del creato impone, soprattutto in una Provincia martoriata dall’Eternit, colpita pesantemente da eventi alluvionali, con aree inquinate da veleni derivanti da produzioni chimiche, di prestare attenzione e aumentare la sensibilità e la coscienza civile rispetto ai modi di produrre, all’equilibrio ambiente, salute, lavoro. Dobbiamo sviluppare iniziative nuove sia a favore del Turismo e della Cultura, sia nel settore della green economy. Ma si tratterà anche di pensare con responsabilità e concretezza allo smaltimento sia dei rifiuti urbani sia a quelli industriali e speciali (discariche? Altre soluzioni?) sotto lo stretto controllo delle amministrazioni pubbliche.

d) la pace. E’ tornato ad essere un tema delicato, soprattutto dopo l’11 settembre, e la minaccia di alcuni Paesi di mettere a punto armi nucleari. C’è sicuramente l’esigenza delle nazioni democratiche e dell’ONU di garantire sicurezza, interventi umanitari, di sostegno ai popoli che cercano di riscattarsi da dittature. Però è dai tempi della crisi di Cuba e dal Concilio che la pace è diventata una trincea da cui non si può e non si deve retrocedere. L’uso delle armi, la loro produzione e commercio, gli interventi troppo tempestivi e avventati sono contrari non solo al dettato costituzionale, ma anche alla coscienza civile, e agli interessi stessi della pace. L’abbandono degli F35 diventa il simbolo di questa presa di coscienza definitiva x la pace.

Punto 8 – Le scelte da compiere non possono non guardare a quanto si muove in generale. Decidere in Provincia può avere conseguenze a livello locale: importante, ma lascerebbe in sospeso tutte i dubbi e le incertezze. Sarebbe più che utile restare in contatto con la rete che a partire dall’ultimo incontro di Todi (22 e 23 giugno 2013) si è realizzata tra cattolici democratici impegnati politicamente anche in partiti diversi. Suggerirei, per quanto riguarda la nostra Provincia, il metodo Todi: ognuno resta dov’è, ma cominciamo a confrontarci, a chiarirci, ad indicare alcuni punti che rappresentino un cammino, un riferimento, un piccolo programma caratterizzante (se si dice Radicali vengono in mente un paio di argomenti, se si dice Lega anche, ecc. dovrebbe essere così anche per noi). Ciò che ritengo imprescindibile è: essere schierati, senza ripensamenti o inversioni, nel campo del centro sinistra; non cedere al diventare sinistra o socialdemocratici (né ovviamente guardare al PPE, almeno fino a quando non torna ad essere l’aggregazione democristiana delle origini); fare scelte coerenti con quanto specificato al punto 7.

A livello organizzativo si potrebbe decidere per una doppia “conduzione”: una culturale che aiuti ad approfondire le varie questioni e a restare in sintonia con quanto si muove a livello nazionale; una più politica, che svolga un ruolo di rilegatura fra i vari personaggi, amministratori, uomini di partito, e dia inizio ad una bozza di elementi programmatici in vista delle prossime amministrative, a cui ognuno possa fare riferimento a prescindere dagli approdi immediati.

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