Per una possibile ricomposizione di una presenza di cattolici in politica

Domenicale Agostino Pietrasanta

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Saranno stati i ripetuti richiami del presidente della CEI (Conferenza Episcopale Italiana), saranno state le convulsioni di una politica abbandonata alla rissa tra le fazioni, saranno stati i contraccolpi di una invereconda serie di promesse irrealizzabili, sarà stata l’afasia ormai scandalosa delle forze social/riformiste della tradizione nazionale, saranno altre indecifrabili ragioni, sta di fatto che, da giorni, si fa nutrito e stringente un dibattito fra cattolici sensibili alla vita pubblica. Un problema che covava (alla lettera) sotto le “ceneri” sta ponendosi con i caratteri della più urgente attualità: i quotidiani di ispirazione cattolica, spesso fiancheggiati da autorevoli testate laiche, si chiedono se la tradizione di cattolici in politica possa ancora determinare una qualche ricomposizione unitaria, sia pure non più proponibile nella forma partito e del tutto estranea al precipitato storico dell’unità politica, decisamente superata dalla storia.

Va intanto premesso che il dibattito si colloca in un preciso passaggio della tradizione cattolico/democratrica. Si fa presto a osservare che tale tradizione appare del tutto dissolta: per una serie di concause che vanno tenute presenti se si decide di incidere sulle loro dinamiche e porre in essere una qualche pratica di emendamento ed una decisa svolta di comportamenti. Sta di fatto che esaurita l’esperienza di un partitto che aveva contenuto le forze centrifughe delle varie istanze che prospettavano la risorsa cristiana nella costruzione della città dell’uomo, un “contenimento” che con non poche riserve, assicurava anche la Chiesa, quest’ultima è intervenuta direttamente nella vita poltica della nazione: interventi surrettizi e talora al limite di una rozza invadenza di campo. Ciò ha scalzato in origine il processo di intermediazione culturale dei principi definiti “non negoziabili” e ha colpito in redice l’autonomia del alicato credente soprattutto nelle organizzazioni ancora resistenti sul fronte della laicità.

Questo, in poche parole il contesto. Ora si pongono tre livelli di considerazioni/premessa. Intanto il dovere del credente di partecipare alla vita ed alla vicenda delle “realtà terrene”. Non insisto: ne abbiamo detto più volte e il dibattito in corso ne richiama le rispettive ragioni, ma più frequentemente, anche se non sempre, lì si ferma. Credo di poter dire che di questo passo non si percorre né strada, né sentiero. Nè si risolve molto se si riprende la questione della tradizione liberal/riformista in confronto dialettico con la sinistra/democratica e della rispettiva attenzione di cattolici all’interno della succitata dialettica. Quì i chiarimenti sono più complessi, ma quand’anche fossero praticabili non costituirebbero alcuna premessa per una soluzione dei problemi che cerchiamo di affrontare. E questo perché anche quelle tradizioni sono del tutto afasiche.

Vengo al secondo livello di considerazioni. L’iniziativa deve avere tutti i caratteri della laicità; soprattutto deve porre in essere una seria mediazione culturale dei principi di ispirazione e renderne il risultato capace di confronto dialettico; resta inteso che il confronto presuppone la presenza di soggetti alternativi e reciprocamente legittimati. Una questione quanto mai spinosa sia per la difficoltà legata ad un passaggio di chiusura priva di dibattito e apertura al confronto, sia e soprattutto perché una presenza di cattolici necessita dei soggetti alternativi di cui stiamo dicendo: soggetti alternativi che ora sono assenti o silenti.

Il terzo livello di considerazioni, viene quasi completamente ignorato; tuttavia ultimamente si è avvertito il problema di un soggetto unitario di proposta per la ricomposizione. Ci chiediamo, o mi chiedo; dove lo si può individuare? Stabilito che il partito è solo l’agognata illusione di pochi nostalgici, bisogna pescare altrove. Ed io non vedo che un associazionismo ecclesiale disponibile ad una composizione unitaria con una parte dei movimenti (quelli non compromessi col potere) per un’azione di formazione diffusa sul territorio, nelle singole realtà locali, con una gestione fortemente capace di mediazione culturale e di elaborazione di pensiero poltico. Non mi addentro certo a definire i contorni di contenuto di una simile impresa formativa però alcuni presupposti possono derivare dalla constatazione del disastro attuale. Scontate le argomentazioni che legano il cattolico all’impegno di una politica forma “esigente di carità”, ci sarebbe da lavorare sul discernimento indispensabile su quanto oggi si percepisce da quanto è invece reale. La mancanza di tale discernimento è talmente grave da costituire l’attuale radice infetta del relativismo. Ci sarebbe da lavorare per l’individuazione delle priorità che la politica non può ignorare nella costruzione della città dell’uomo; ci sarebbe da lavorare sui valore di una dialettica che salva il precipitato storico della democrazia; ci sarebbe da lavorare sui segni di una democrazia pienamente realizzata, anche a favore dei più deboli.

Un lavoro gravosissimo, e urgente; tuttavia, almeno per ora un lavoro di formazione. La classe dirigente cattolica si è sempre formata in situazine di precarietà rispetto ad una presenza diretta nelle istitruzioni. Lo ha fatto durante la frattura vissuta nel Risorgimenmto italiano; lo ha fatto durante la persecuzione dei totalitarismi. Potrebbe farlo per vincere un’afasia preoccupante, con la speranza di possibili presenze istituzionali future. Oggi la sfilacciatura appare inestricabile.

2 pensieri su “Per una possibile ricomposizione di una presenza di cattolici in politica

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