Comunione e Liberazione, i conti con la storia

Agostino Pietrasanta

Senza nomeIl terremoto che si sta portando dietro lutti del tutto straordinari e colpisce con ingenti danni il patrimonio del Paese, ha anche sortito il risultato negativo di rimuovere l’interesse dovuto ad importanti eventi di fine estate; tra questi uno dei più significativi, per l’Italia e non solo, il dibattito intessuto intorno al meeting riminese di Comunione e Liberazione. Ancora una volta, il movimento ha posto in agenda questioni essenziali di una civiltà democratica anche grazie all’apporto ormai raggiunto e consolidato, almeno in materia, del Cristianesimo, ricordando anche il dramma persino cruento delle persecuzioni in odio a tutte le fedi, in particolare in odio alla fede nel Cristo: dramma del tutto rimosso dagli impegni “urgenti” dell’Occidente. Per tutto questo, CL merita rispetto ed ammirazione.

Resta da precisare che, a margine del convegno, due cose mi hanno particolarmente colpito: un’intervista al successore di don Giussani (fondatore del Movimento), Julian Carron ed il richiamo, nel corso degli incontri, al ruolo centrale nella vita della Chiesa della cultura e della società italiana di Giuseppe Lazzati, Rettore dell’Università Cattolica, negli anni fra il decennio sessanta e quello settanta, ma soprattutto importante personaggio del gruppo dossettiano alla fine degli anni quaranta del secolo scorso.

Le due cose, oltre a suscitare in me un immediato consenso ed una convinta soddisfazione, mi hanno però anche suggerito qualche considerazione problematica.

Carron, nell’intervista, ha sostenuto che più della militanza vale la testimonianza; conseguentemente mi è sorta qualche perplessità, non tanto sul contenuto della dichiarazione, ma sul percorso che ha indotto CL ad una simile conclusione. Una seria perplessità perché non mi pare che sul punto si sia intrapresa un’operazione adeguata dei cosiddetti “conti con la storia”. Se si lascia, o se si pone a secondo livello la militanza, a favore della testimonianza, si presuppone, io credo sommessamente, che il criterio di intervento culturale e, per la Chiesa, anche pastorale, della conquista della società e dei suoi paradigmi, vada abbandonata a favore del criterio del discernimento; criterio, quest’ultimo sempre criticato dai movimenti ecclesiali di cui CL è stato il più autorevole. Si presume che non siano le Istituzioni ad imporre la cristianizzazione delle coscienze, anche in rispetto della libertà che ne consegue; si suppone che il potere non serva a favorire nessuna evangelizzazione.

Ne derivano alcune conseguenze. Ne cito una, quella del trattamento riservato da CL al Card. Carlo Maria Martini. Non voglio farla lunga, né complicarmi troppo la vita, mi basta richiamare la lettera che Carron ha redatto per la successione a Tettamanzi a capo della diocesi ambrosiana. Nella lettera stava scritto che i passati interventi pastorali di Martini e di Tettamazi erano stati devastanti per la Chiesa milanese. Sinceramente faccio fatica a capire le motivazioni; se però fosse perché Martini ed anche Tettamanzi, invece di andare alla conquista per un’evangelizzazione di presenza nella complessità milanese, si sono fatti premura di testimoniare la loro fede accompagnando le miserie, ma anche le orme di bene che incontravano, se così fosse, mi permetterei di concludere che prima di concludere a favore della testimonianza rispetto alla militanza, qualche conto in sospeso andrebbe risolto.

Residua il caso Lazzati: il personaggio, durante il meeting è stato ricordato in termini lusinghieri. Ora, va detto che Lazzati era un apprezzato docente di letteratura cristiana antica, conoscitore esigente dei Padri della Chiesa. Tuttavia, nel momento della ricostruzione post/bellica si sentì obbligato come la dirigenza del gruppo dossettiano a sospendere l’attività accademica (Dossetti era un canonista, La Pira un esperto di diritto romano e Fanfani uno storico delle istituzioni economiche) per intraprendere l’attività della politica come riconosciuto servizio. Orbene, in questo ruolo Lazzati fu più teorico e pensatore che non attivo ed impegnato nelle Istituzioni che pur frequentò. Nella veste di teorico fu lui che descrisse la distinzione tra Azione cattolica ed Azione politica in un famosissimo articolo su “Cronache sociali” (rivista dei dossettiani) e dunque del non coinvolgimento della Chiesa nella politica e della non confusione tra i due piani pur tra loro in rapporto di reciproca ispirazione e collaborazione; l’articolo sanciva definitivamente la fine del regime di cristianità e negava in radice la possibilità di servirsi delle Istituzioni per un’evangelizzazione delle strutture sociali. La sua condotta, anche in seguito, come Rettore della “Cattolica”, fu improntata a tali presupposti. In questo passaggio della sua storia personale fu duramente attaccato da CL che lo accusò di protestantesimo in un libretto che pretese di definirsi “storico”. Ora il Lazzati, benché convintamente tollerante in fatto religioso, era un convinto sostenitore dell’universalismo cattolico/medioevale: niente di più distante dal protestantesimo. Forse oggi, prima di richiamarlo, con convinzioni lusinghiere, sarebbe il caso di fare i conti con una storia sgradevole: riconoscere vagamente che si era esagerato non basta.

In fondo saper chiudere i conti col passato non sempre è facile, ma è pur sempre proficuo.

Un pensiero su “Comunione e Liberazione, i conti con la storia

  1. Il massimalismo e l’integralismo vedono spesso nemici dove non ci sono. Quando, poi, ci si accorge delle esagerazioni compiute, ci si converte senza nemmeno esplicitare che ci si sta correggendo: gli integralisti fanno sempre bene, soprattutto quando sbagliano. In realtà, essi si sono limitati a confessare i peccati altrui…

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