Todi 2013, nuova Camaldoli? (spunti dal convegno di Giugno)

Carlo Baviera

cadeVale la pena di riproporre, per meditarvi, alcuni spunti che i convenuti a Todi il 22 e 23 giugno, per un incontro fra cattolici democratici, hanno lasciato all’approfondimento generale sul momento politico e sociale dell’Italia. Non a caso il titolo dell’incontro era: “Quale futuro per la politica in Italia: il contributo del cattolicesimo politico”.  Faccio notare che erano presenti molti dei nomi di spicco del cattolicesimo politico.

Si è partiti con la delineazione di un quadro piuttosto drammatico del paese per il fallimento della seconda repubblica, per un ventennio di  egemonia del berlusconismo, che ha accumulato ritardi in tutti gli ambiti della vita politica ed economica, e ha buttato vent’anni, così oggi è sostanzialmente commissariato dal Presidente; c’è desiderio di cambiamento ma al tempo stesso lo si teme. Il cambiamento non può venire per alternanza, ma per un cambio di sistema, anche in economia. Si aspetta “qualcuno che faccia una proposta forte che ripolarizzi destra e sinistra”. Todi 1 e 2 non sono stati all’altezza di questo compito.

Si è osservato che ci vuole “una proposta che sia ‘centrale’, che si misuri con l’indole cattolica del paese”: centrale non vuol dire un partito di centro. Al cambiamento sono aperti i giovani; in loro non c’è antipolitica, ma voglia di buona politica e l’ambizione di avere un ruolo.

Dalle tante suggestioni e suggerimenti sarà utile trarre qualche aspetto di convergenza che servirà in futuro per riavvicinare anche operativamente questo ricco mondo (definito una grande ricchezza non valorizzata che suscita un senso forte di spreco): del quale mondo si evidenzia, ad esempio, che “l’80 per cento degli operatori della Caritas non conosce la dottrina sociale della chiesa”. Pur riconoscendo una specifica cultura politica dei cattolici democratici, si è detto di non ritenere possibile una terza fase, dopo il PPI di Sturzo e la Dc, di compattezza del cattolicesimo politico in Italia. La sensibilità e la cultura politica dei cattolici vanno certamente coltivate ma senza voler seguire l’idea di “mettere insieme chi insieme non può stare”. Per i cattolici la vera convergenza è quella della comunità cristiana.

Il primo aspetto di convergenza è venuto dal riconoscere la crisi che il paese sta vivendo, e che sta vivendo il mondo intero: si tratta di una crisi strutturale, perciò bisogna individuare quale strada percorrere, quali sfide affrontare; e di progettare insieme elementi indispensabili di riforma del sistema politico, introducendo anche forme di democrazia diretta. Si sono espresse riserve sul recente disegno di legge costituzionale sull’iter delle riforme approvato dal consiglio dei ministri (limiterebbe il potere deliberativo dei parlamentari e non aprirebbe a un vero coinvolgimento dell’opinione pubblica) e sul modello del “sindaco d’Italia”, mentre  sarebbero urgenti altre misure (riforma del regolamento parlamentare, correzione della riforma del Titolo V, valorizzazione e attuazione dell’art. 49 sui partiti tramite una legge ordinaria che ne regoli la democraticità, Senato delle regioni).

Secondo. Pur con posizioni differenziate su proporzionalismo o bipolarismo si è ritenuto un limite anche dei cattolici (a destra e a sinistra) quello di aver contribuito a dar vita a un “cattivo bipolarismo”, cioè un bipolarismo “divergente e non convergente”. Se non si è stati capaci di costruire un bipolarismo convergente, la responsabilità è di quei cattolici (e di parte della Gerarchia) che, in realtà, il bipolarismo non lo hanno accettato fino in fondo, e hanno sempre pensato all’unico contenitore. Altro errore dei cattolici democratici  l’aver perso uno dei capisaldi della propria cultura, la democrazia sociale, dovuta all’assenza di una vera partecipazione democratica, alla mancata valorizzazione dei corpi intermedi al troppo scarso contatto tra la politica e l’associazionismo di base. Di qui la necessità di rifondare la democrazia, di valorizzare le autonomie e le forme possibili di una “democrazia decidente”, attraverso una conversione culturale o “generatività della politica” che rimetta al centro la cultura dei territori, delle diversità, degli enti intermedi, della mediazione, del “centro” politico, contro una visione schematicamente bipolare della politica, e di far sentire la gente partecipe, sviluppando tutte le forme di aggregazione comunitaria. Senza intestardirsi a cercare di costruire un unico contenitore del proprio impegno.

Un altro aspetto sottolineato è stato la non decisa opposizione della Chiesa ai disvalori del berlusconismo, lasciando soli i cattolici democratici. “La Chiesa –si è detto – non sempre ci ha aperto la porta nelle sue comunità”. Non ha tenuto conto che “i valori – come diceva Moro – non si difendono con le leggi ma con l’educazione”. Perciò, ribadita la pluralità delle scelte politiche dei cattolici, due sono le questioni da affrontare (facendo valere la “nostra differenza cristiana”): recuperare la fiducia della gente per la politica e elaborare una nuova teoria economica (perché il sistema economico attuale è fallito). Un traguardo comune dovrebbe essere, ad esempio, la contestazione pratica della “dittatura dell’economia” oggi esistente, cercando strade nuove, alternative al sistema economico che ha fatto fallimento, dare vita a uno sviluppo alternativo visto che lo stesso Benedetto XVI, nella Caritas in veritate, ha detto che serve un ripensamento radicale del modello di sviluppo capitalistico; e senza tagliare il welfare, la scuola, la sanità che sono beni irrinunciabili. Perché quello che bisogna cambiare è il modello del nostro stare insieme. Due obiettivi individuati per il futuro: ridurre la spesa pubblica e aumentare la produttività e la qualità della produzione. Perché bisogna prendere atto della crisi come crisi di sistema e non nel sistema, considerando che la ragione più profonda della crisi è geopolitica, sta nel declino della potenza economica e politica degli Stati Uniti e dell’Europa e della crescita del resto del mondo. La crisi è di sistema, ma la spesa pubblica (forse) va tagliata lo stesso. Bisogna vedere in questo trapasso i segni dei tempi: una parte del mondo prima esclusa ora sta emergendo, e questo grava sull’Occidente. Ed è dunque “il vero banco di prova per noi”.

Affrontando il tema “cattolici e speranza politica”, si è osservato che oggi si è indebolita la cultura della mediazione dei cattolici in politica; e che c’è “analfabetismo culturale” dei cattolici rispetto alla politica, mentre c’è bisogno di fecondare la storia. Se i politici cattolici alla Costituente hanno fatto cose buone lo si deve anche ai tanti percorsi culturali e spirituali che avevano alle spalle. Servirebbe una Chiesa che dia sostegno ai cattolici, ma nel rispetto della laicità e che faccia animazione e formazione delle coscienze senza interferire. Ci si interroga su come mettere in rete le tante esperienze che fioriscono tra i cattolici.

In questi anni è cambiata l’etica antropologica. Oggi non è più chiara un’etica d’insieme. E per questo si sono perse tutte le battaglie etiche e bioetiche. C’è bisogno di riapprofondire contenuti e valori, e formare le persone. E’ cambiata l’identità del mondo cattolico, che oggi non è più un’espressione da usare, perché superata. Oggi la cultura politica cattolica è spalmata su tutti gli schieramenti politici, e vale semmai la distinzione tra cultura della presenza e cultura della mediazione. Così come non si può non tener conto della sostanziale scomparsa dei nuclei intermedi – quegli enti in cui “l’uomo entra uomo ed esce persona” –dando rilievo solo a due soggetti: il popolo e il potere. E si è sottolineato, come sia anche cambiato il rapporto tra il diritto naturale e le libertà dei singoli; si è rovesciato il rapporto tra libertà religiosa e laicità: si crede che venga prima la laicità, e che sia la laicità a fondare la libertà religiosa, mentre è vero il contrario. E poi c’è il problema delle gerarchie ecclesiastiche che negli ultimi vent’anni, invece di ispirare i cattolici in politica, sono intervenute direttamente. Nella storia del Novecento invece si è andati avanti con successivi “strappi” fatti dai laici; poi la Chiesa ha seguito, e ha consolidato le nuove posizioni acquisite. Per questo servono segnali forti nella distinzione degli ambiti, senza integrismi o clericalismi, pur ancorati ai valori, e impegno per ricostruire una società organizzata in senso pluralistico, con un rapporto corretto tra partiti e Stato, e in cui i cattolici possano tornare ad essere lievito per tutti.

L’impegno finale è “Fare rete”. Si è sottolineata l’insoddisfazione per il senso di impotenza che i cittadini oggi provano di fronte al tema della riforma della politica: “a cosa serve incontrarsi tra cattolici nei convegni se poi non si costruiscono strumenti di partecipazione e proposte che incidano sulle scelte politiche?”. Non serve fare un nuovo partito dei cattolici, ma potrebbe essere utile una federazione di associazioni di cattolici sociali, a livello pre-partitico, che sia in grado di sfidare i cattolici impegnati nei partiti. E lavorare non tanto a dibattiti sui valori (sono impliciti) ma sui mezzi concreti per attuarli, sulle proposte di merito. Speriamo che dagli stimoli venuti dal Convegno si ricostituisca il tessuto cattolico democratico per evitare l’afasia, per rilanciare un confronto autentico, e per tornare ad essere “lievito per tutti”.

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