Forza Lettino!

Il punto  Marco Ciani

lettaMi sia perdonato il facile gioco linguistico del titolo per esprimere il mio auspicio nei confronti del governo guidato dal Letta minor, il Lettino, per l’appunto (per distinguerlo dal Letta major, ovvero l’immarcescibile zio Gianni, vecchia volpe del giornalismo e della politica nazionale).

Vediamo un po’ quali somme sia possibile trarre, molto sommariamente e in attesa di ulteriori approfondimenti nei prossimi giorni, dalla formazione dell’ultimo esecutivo. Ho però rilevato che qualche noto editorialista si è già affrettato a ribattezzarlo un governo di “riduzione del danno”.

Non so se sarà un governo di riduzione del danno. So però alcune cose, che vado brevemente a riepilogare.

Prima questione. Dalle ultime elezioni, complice il famigerato porcellum, nessun partito o coalizione di quelle che si erano presentate agli italiani, ha conquistato la maggioranza assoluta dei voti al Senato. Ergo, per forza di cose, a meno di non voler ritornare rapidamente alle urne, era necessario che, o il Movimento 5 Stelle, o il PDL, si alleassero al PD.

Il primo ha mostrato per tutta la prima fase della legislatura un atteggiamento sprezzante nei confronti degli altri partiti, anche se spesso condito da qualche parvenza di apertura, ma senza alcuna concreta proposta di accordo. Inoltre, i progetti in tema economico di Grillo e Casaleggio Associati che contemplano l’uscita dell’Italia dall’Euro e la rinegoziazione del debito pubblico, appaiono ad ogni persona di buon senso, incompatibili con ogni serio tentativo di formare un governo, e comunque sono in netta contrapposizione con la linea politica, sia del PDL che del PD su tali questioni di primaria importanza.

Il PDL invece, piaccia o meno, ha condiviso almeno l’ultimo anno di sostegno alle iniziative del Governo Monti, assieme al PD ed al centro moderato. E’ vero che poco prima della fine, con una zampata tattica, il Cavaliere ha mollato Monti, determinando la conclusione anticipata della legislatura. Ma ciò non toglie che da novembre del 2011, magari obtorto collo, PD e PDL abbiano dovuto condividere un percorso comune. In realtà, chiunque guardi la politica con un certo distacco, vedrà che tra l’opposizione anti/sistema di Grillo da un lato e le contrapposizioni tra destra e sinistra dall’altro, vi è una differenza notevole. Le seconde, almeno sul piano dei programmi, appaiono conciliabili.

Secondo punto. Nei Paesi europei dove, a seguito delle elezioni, non si riesce a costituire una salda maggioranza, è prassi abbastanza pacifica che destra e sinistra si alleino tra loro, o almeno con qualcuno che consenta loro numeri sufficientemente saldi per poter governare senza incidenti. E’ capitato recentemente, e senza tante remore, in Germania, con la coalizione CDU/SPD e in Inghilterra con la coalizione tra Conservatori e Liberaldemocratici. In Francia accade non di rado che un Presidente della Repubblica espressione di un partito, debba coabitare con un governo di colore opposto. E nessuno parla di inciucio (che infatti è espressione tipicamente nostrana).

Si obietta che Berlusconi è diverso. E’ vero. Ma anche l’Italia è diversa. E comunque, senza maggioranza la strada principale per risolvere il problema rimangono le elezioni anticipate che, come tutti i sondaggi indicano, saranno probabilmente vinte ancora una volta dal Cavaliere. Ritiene davvero la sinistra che tale risultato sia auspicabile? Forse conviene accontentarsi di un compromesso (del bene possibile o del male minore, direbbe un nostro editorialista) nella speranza di tempi migliori.

Terzo punto. Il PD ha giocato malissimo le carte che aveva in mano. Ha inanellato una serie di errori da dilettanti che non vale qui la pena riprendere perché già adeguatamente discussi in precedenti articoli apparsi su questo blog. Malgrado tali grossolani sbagli, al limite dell’idiozia collettiva, il maggior partito della Sinistra ha eletto i presidenti della Repubblica, della Camera, del Consiglio e conta 9 ministri contro i 5 PDL, i 3 Scelta Civica, 4 tecnici e una radicale. Non è poco per un partito che alle ultime elezioni aveva raccolto appena un 1/4 dei voti espressi.

Quarto punto. Alla vigilia della formazione, si temeva che il nuovo esecutivo sarebbe stato un’accozzaglia di vecchie mummie della politica, da Amato a D’Alema, o di personaggi indigeribili alla sinistra come gli ex ministri Brunetta e Gelmini, o l’ex Presidente del Senato Schifani. Nulla di tutto ciò è avvenuto. La compagine che ne fa parte non appare, complessivamente, di cattiva qualità. Certo c’è Alfano, ma malgrado il suo servilismo nei confronti di Berlusconi, è pur sempre un utile anello di collegamento tra il Premier ed il Cavaliere. Anche se, supponiamo, il giovane Letta potrà sempre contare sugli auspici dello zio, che, guarda caso, è anche il consigliere più fidato di Berlusconi. Considerando le variabili in campo, si dovrebbe quindi concedere a questo governo almeno il beneficio della prova.

Quinto punto. E’ chiaro che in una vicenda tanto scabrosa (per non dire peggio) come quella che ha contrassegnato tutta la fase post-elettorale, un ruolo formidabile è stato giocato dal Capo dello Stato, anche per supplire alle inadeguatezze palesi di una classe politica incapace, soprattutto in casa PD, di far fronte alle responsabilità richieste dal governo di un Paese importante, come l’Italia, in un momento storico tra i più difficili.

Ora, è di tutta evidenza anche per un bambino che la traiettoria disegnata da Napolitano, dalla fase del pre-incarico, per continuare con la nomina dei 10 saggi (andando in questo forse anche al di là delle sue prerogative costituzionali), fino alla drammatica accettazione della propria ri-elezione, portava diretti alla nascita di un governo delle cosiddette “larghe intese”, ovvero un governo questa volta politico (e non più tecnico, anche a causa della controversa prova di Monti) tra destra, centro e sinistra.

Poiché il PD ha dovuto recarsi in ginocchio da Napolitano dopo la disastrosa prova offerta al Paese nella fase di elezione del Presidente della Repubblica, il PD è di fatto un partito commissariato il cui capo si chiama oggi Giorgio Napolitano. E deve accettarne tutte le conseguenze, senza tante storie. D’altro canto fin dall’inizio il PDL aveva sostenuto la necessità delle larghe intese; seguito, poco dopo (e forse con minor convinzione) da Scelta Civica. Dunque non vi erano alternative credibili.

Questo è anche quanto affermato dal Capo dello Stato recentemente e, soprattutto, in occasione, per chi ha voluto ascoltarlo, del suo discorso di insediamento per il secondo mandato. Ma Napolitano, conoscendo bene i suoi polli, ha anche ammonito “se mi troverò di nuovo dinanzi a sordità come quelle contro cui ho cozzato nel passato, non esiterò a trarne le conseguenze dinanzi al paese”.

Il Presidente della Repubblica, ha soppesato molto bene le sue parole, comprese quelle non pronunziate. Infatti, nei giorni successivi, all’espressione “conseguenze” usata durante il duro richiamo proferito a Camere riunite, sono state date due diverse interpretazioni: chi le ha tradotte come un richiamo alla possibilità di sciogliere il Parlamento, chi come una minaccia di possibili dimissioni da parte sua.

Implicitamente, il vecchio Presidente (di cui non mi stancherò mai di tessere le lodi e che considero, per il modo con cui ha gestito la fase più delicata della nostra storia recente, il migliore) si è tenuto aperto tutte e due le possibilità, così da non perdere il tiro sia nei confronti del PD che del PDL.

Se il primo facesse le bizze, il Capo dello Stato potrebbe mandare tutti a casa ed allora per la sinistra sarebbero dolori, vista la quasi certa vittoria di Berlusconi, almeno nell’imminente. Con una forte opzione del Cavaliere, a quel punto, sulla stessa successione al Colle. Molto però continuerebbe a dipendere, in tale caso, dalla legge elettorale e dal voto per il Senato.

Ma poniamo che invece sia il Cavaliere a disarcionare il Governo. Beh, in questa deprecabile situazione, Napolitano potrebbe anche valutare le sue dimissioni e la destra rischierebbe di trovarsi come nuovo inquilino del Quirinale Rodotà o Prodi, a seguito di una assai probabile convergenza tra democratici e grillini. E in sub-sub-ordine, perché no, magari un governo PD-SEL-5 stelle. Ipotesi più complicata, ma non del tutto impossibile, che segnerebbe, quasi certamente, la fine di Berlusconi (anche i gatti dopo la settima vita, hanno finito).

Se poi fossero sia destra che sinistra a fare cretinate, le prossime elezioni costituirebbero una marcia trionfale per Grillo, e allora, addio birillo!

Dunque, la navigazione non sarà facile, ma qualche elemento positivo si può anche intravedere in mezzo alle nebbie della politica italiana. Quel che adesso il governo dovrebbe fare è dare risposte urgenti ai nodi che nemmeno il precedente esecutivo di emergenza era riuscito a sciogliere. Le imprese sono al collasso e i dati dell’occupazione disastrosi. Questi sono i punti principali sui quali dimostrare di essere all’altezza.

Sono in molti a guardare allo scenario politico con scetticismo misto a rabbia. Da parte nostra, seguiremo con attenzione il tentativo del Governo Letta. E, malgrado i tanti dubbi che ancora rimangono e la prudenza che deve contraddistinguerci, non possiamo non augurarci, soprattutto in questo momento e per il bene dell’Italia, una sua soddisfacente riuscita. Alternativa migliore, per ora, non c’è.

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