Papa Francesco e la teologia della liberazione

Maurilio Guasco

chainUna delle prime cose che si sono dette del nuovo papa, o meglio del vescovo di Roma, è stata che era contrario alla teologia della liberazione.  Poi hanno cominciato, da destra e da sinistra, a diffondere documenti, spesso falsi, sugli anni in cui era in Argentina ed era in corso la dittatura militare.

Il primo caso è significativo, poichè spesso quel termine, teologia della liberazione, è diventato una specie di parola che significa tutto e niente, soprattutto quando la pronuncia chi non ha mai letto i libri di Gustavo Gutierrez e pensa che da Roma sia partita nei suoi confronti una specie di scomunica.

In effetti, spesso si confonde la teologia della liberazione con la teologia della rivoluzione. La seconda ha parlato spesso anche di lotta armata, e ha i suoi profeti; la  prima parte da alcune analisi fatte appunto da Gutierrez nel 1967, diventate poi un libro, nel 1971, con quel titolo divenuto proverbiale, Teologia della liberazione.

I testi di Gutierrez, e qualche anno dopo quelli di Leonardo Boff, partono dalla teologia politica, termine in uso in Germania in quegli anni, per fare un passo avanti: voi europei fate una teologia a partire dall’uomo, dicono i teologi sudamericani, noi dal non-uomo, da chi non ha diritti, da chi in pratica non esiste neppure, per le società sviluppate.

Liberazione non significa rivoluzione, singnifica solo fare un cammino analogo a quello compiuto dagli ebrei e raccontato nell’Esodo: uscire dalla schiavitù e cercare un paese libero.

Nell’anno dei primi lavori di Gutierrez, uscì anche l’enciclica di Paolo VI, Populorum progressio, che in parte sposava l’entusiasmo del momento: lo sviluppo dei paesi ricchi trascinerà con sè lo sviluppo dei paesi poveri.

Ciò non avvenne, e si cominciò a parlare di teoria della dipendenza: lo sviluppo dei paesi ricchi è pagato dal sottosviluppo dei paesi poveri. Anzi, tale sottosviluppo è la condizione necessaria per lo sviluppo dei primi.

Chi diceva questo, pensava di poter utilizzare le categorie marxiste per lo studio della società. E riapriva il dibattito sulla possibilità di disgiungere, in queste teorie, l’analisi sociale dalle conclusioni che se ne possono trarre.

Quello che è certo, è che Gutierrez non trasse mai quelle conclusioni. Gutierrez si può anzi considerare un grande mistico, basta leggere alcuni dei suoi scritti o sentirlo parlare (mi è successo in Sud America) nelle giornate di ritiro.

Nel 1984 vi fu, è vero, una messa in guarda contro le derive di tale teologia, da parte del Vaticano (il testo portava le firme di Ratzinger e dell’alessandrino Bovone, controfirmato da Giovanni Paolo II). In seguito, quel testo venne attutito dallo stesso dicastero romano.

Ora, quando si dice che papa Francesco fu contrario a quella teologia, si equivoca se si conclude che fu contrario a Gutierrez. Certo, lo sappiamo tutti, un libro di Boff qualche anno dopo venne censurato da Roma, e lo stesso Boff venne poi ridotto allo stato laicale.

Ma non bisogna confondere le vicende personali con le teorie: se si considera emblematica la vicenda di Boff, si deve considerare emblematica quella di Gutierrez.  Che, fattosi domenicano, continua ancora oggi a vivere nella Chiesa, per la quale ha scritto pagine di amore che ogni innamorata vorrebbe sentirsi dire dal suo amato.

Non si tratta qui di giustificare nessuno, nè di fare di papa Francesco un avversario della teologia della liberazione. Ci sono vari modi per parlare di sottosviluppo e di povertà, il vescovo di Roma ne ha scelto uno diverso.  Forse vale anche per lui quanto diceva un giorno mons. Helder Camara: se aiuto i poveri, mi dicono che sono un santo, se mi chiedo perchè sono poveri, dicono che sono un comunista.

Nessuno ha ancora citato questo testo riferendolo a papa Francesco?

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