Cleavages

Marco Ciani

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Il 13 dicembre scorso sul sito della rivista americana “The Atlantic” è apparso un interessante articolo a firma del celebre politologo di origine tedesca Yascha Mounk, dal titolo “Come i laburisti hanno perso la guerra culturale”.

Il pezzo analizza l’esito delle elezioni politiche del Regno Unito tenutesi giovedì scorso che, come noto, hanno visto trionfare il Partito Conservatore del premier uscente Boris Johnson a spese del Partito Laburista di Jeremy Corbyn.

In buona sostanza il professore sostiene la tesi che descrivo di seguito riprendendo quasi pedissequamente le sue parole. La sinistra inglese, ma in generale tutta quella occidentale, si è basata fino a poco tempo fa su una alleanza consolidata tra due blocchi distinti: il primo composto dalla classe dei lavoratori, con un sostegno schiacciante tra i meno abbienti e meno istruiti; il secondo costituito da parti rilevanti della classe media, e particolarmente studenti universitari, insegnanti e funzionari pubblici.

Ora, sebbene queste due facce della coalizione borghese-proletaria abbiano sempre differito nei loro atteggiamenti culturali, condividevano aspetti economici di indubbia solidità. Entrambi erano interessati a salari elevati e sindacati forti. Entrambi facevano affidamento sullo stato sociale per la scolarizzazione dei propri figli, per l’accesso a cure sanitarie di buona qualità, per la consapevolezza che sarebbero stati in grado di ritirarsi dal lavoro con pensioni dignitose.

Finché il focus principale della politica era sulle questioni economiche, la sinistra democratica poteva tenere insieme questa vasta coalizione.

Ma negli ultimi decenni, l’allineamento si è spostato dai temi di politica economica a quelle che si potrebbero chiamare questioni di cultura, come l’immigrazione e l’Europa. E mentre gli elettori della classe media nelle grandi aree urbane, specie i più giovani, hanno atteggiamenti ragionevoli nei confronti dell’immigrazione e si oppongono fortemente all’uscita dall’UE, gli elettori della classe operaia tendono ad essere molto critici nei confronti dell’immigrazione e non ostili, o addirittura favorevoli, alla secessione da Bruxelles.

Nel caso delle elezioni del Regno Unito, il dato è reso esplicito dal fatto che la maggior parte dei collegi elettorali della classe operaia passati dai laburisti ai conservatori hanno sostenuto il divorzio dall’Europa nel referendum per la Brexit del 2016.

Quindi la sinistra tradizionale viene tirata in due direzioni opposte. Molti dei suoi elettori della classe media ritengono che non sia sufficientemente liberale su questioni culturali; di conseguenza, sono tentati di optare per alternative più coerenti e progressiste come i Verdi. Contemporaneamente, molti dei suoi ex elettori della classe operaia sentono che i leader progressisti guardano dall’alto in basso le loro opinioni e paure; di conseguenza, sono tentati di votare per i partiti populisti e sovranisti.

Secondo lo scrittore russo Eduard Limonov «le persone votano per i partiti sovranisti perché vogliono farla finita con l’immigrazione. Rifiutano di vivere accanto a chi considerano lontano culturalmente, nonché uno spietato concorrente salariale. Tutta l’Europa sta insorgendo contro la tolleranza. Ed è una rivolta molto più radicale della risposta che i singoli governi stanno provando a dare».

L’ascesa della cultura come principale elemento di frattura (cleavage, secondo la definizione di Rokkan e Lipset) della politica aiuta a spiegare la lenta morte dei partiti socialdemocratici in molti paesi dell’Occidente. In Germania e Francia, e dall’Italia alla Svezia, i partiti di centro-sinistra non sono riusciti a trovare un messaggio politico che possa rimontare la vecchia coalizione borghese-proletaria.

Fin qui l’articolo dal quale ho saccheggiato le parti più rilevanti. Resta il punto di cosa dovrebbero mai fare i progressisti per risalire la china ed arrestare l’apparentemente irrefrenabile declino.

È possibile che una soluzione sensata risieda in un riposizionamento strategico. Per offrire un’alternativa di principio alle destre radicali – che presentano tratti reazionari, nazionalisti e statalisti – servirebbe presentare una proposta che vada in direzione contraria. Dunque decisamente progressista per quanto riguarda i diritti sociali e civili, ma senza cadere nello statalismo; quindi internazionalista e globalista; infine, portatrice di una serie di politiche che, mentre promettono di correggere alcuni difetti del capitalismo, in modo da assicurare che tutti giochino veramente con le stesse regole, narri le virtù della libera impresa e attacchi il capitalismo clientelare. In parole semplici, una riedizione dell’alleanza tra merito e solidarietà che tante volte abbiamo richiamato da questo blog. Ciò comporta dare un taglio anche al nazionalismo economico, e non solamente a quello politico. Detto in battuta: meno Stato, più società e impresa.

Nel cambiamento si possono perdere degli elettori? Certamente. Tutti quelli per cui l’ansia di fronte ad un mondo in rapidissima trasformazione può essere placata solo da un richiamo alla chiusura. Economica, identitaria, fondamentalmente autoreferenziale, che guarda al passato.

Si potranno guadagnare anche dei nuovi consensi? Sì. Di coloro i quali, pur non essendo mai stati socialisti o socialdemocratici, vedono di cattivo occhio le derive alle quali è ormai approdata la destra.

Certo un processo di tale natura può modificare in modo sensibile la constituency, ovvero il tipo di sostegno alla base del proprio consenso. Esistono però precedenti importanti. Un caso emblematico fu la perdita di voti degli Stati del sud da parte dei democratici americani, in favore degli elettori delle coste sia nord occidentale che nord orientale, a seguito della presa di posizione di Kennedy contro la tolleranza verso il razzismo.

In chiusura potremmo dire questo. Tra le tendenze radicali di destra e di sinistra, l’elettorato pare prediligere decisamente le prime. Ed è comprensibile. Perché la sinistra non riesce a dare una risposta alle conseguenze negative che la globalizzazione e l’evoluzione tecnologica comportano per le classi lavoratrici dell’Occidente. La destra fornisce una risposta basata sul ritorno agli Stati nazionali. Che sia realmente possibile, senza che si producano conseguenze fortemente negative, non lo dice.

Invece, tra tendenze radicali e tendenze liberali la partita pare molto più aperta. Ciò che non funziona, per quanto riguarda i riformisti, è stare in mezzo al guado. Non scegliere. Non cambiare prospettiva. Inseguire elettori ormai persi più o meno stabilmente proponendo ricette populiste in salsa rosa. Invece di cercare nella mondializzazione e nel progresso tecnico dei validi elementi per migliorare la qualità di vita di uomini e donne. Nonostante le forti contraddizioni, lo spettacolare aumento del benessere che si è registrato a partire dalla fine dell’800 dipende da tali fattori.

Alla sinistra converrebbe lasciar perdere tentazioni passatiste e concentrarsi sul futuro, sulla costruzione di una nuova piattaforma all’insegna della società aperta, inclusiva, plurale, cosmopolita dove attori della produzione e della società possano, nel rispetto delle regole, dispiegare liberamente il proprio potenziale di creatività incentrato sulla persona e non sullo Stato pigliatutto come invece propongono i sovranisti. Proteggere cioè gli svantaggiati senza rinunciare allo sviluppo economico ed umano.

3 pensieri su “Cleavages

  1. Dissento totalmente dall’impostazione e dalle conclusioni della riflessione.
    Cercherò di essere breve e schematico, anche a rischio di sembrare superficiale.
    1-Negli ultimi decenni, il tema dominante è sempre stato quello economico che, al contrario, ha acquisito una tale forza da controllare anche il dibattito culturale e il modo di pensare (si sono addirittura inventati nuovi termini dispregiativi quali “sovranismo” e “populismo” per denigrare chi rivendica libertà di pensiero e di dissenso nei confronti di un sistema economico mutato alla radice senza alcun passaggio democratico e, almeno in Italia, profondamente anticostituzionale).
    2-La sedicente sinistra ha perso (meritatamente, a mio parere) consenso proprio perché “ha smesso di rappresentare le sue classi sociali di riferimento, quelle appunto che facevano affidamento sullo stato sociale per la scolarizzazione dei figli, per l’accesso a cure sanitarie di buona qualità, per la consapevolezza che sarebbero stati in grado di ritirarsi dal lavoro con pensioni dignitose”. In nome di che cosa? E che cosa si propone adesso? Di distruggere lo stato sociale a favore di una globalizzazione che favorisce i grandi speculatori finanziari a scapito dei più deboli?
    3-Ridurre il tema dell’immigrazione a fatto culturale trascurando le fortissime implicazioni economiche, significa non vedere l’entità del problema; è vero che talvolta si arriva al razzismo, ma la questione è assai più complessa, quindi andrebbe affrontata in modo completo. Mi limito ad osservare che l’immigrazione, garantendo manodopera sempre disponibile e a basso costo (spesso anche in condizioni disumane), costituisce, di fatto, un ricatto ai lavoratori europei che si vedono decurtati salari e diritti acquisiti con decenni di lotte e rivendicazioni.
    4-Il fatto poi che la ” sinistra” italiana, a fine 2019, proponga slogan che in passato appartenevano a Forza Italia (meno Stato, più società e impresa) appare per me, antico democristiano, molto inquietante.

    • Gentile signor Pavesi,
      innanzitutto grazie per il suo commento circostanziato e pacato. Proverò a rispondere alle sue precise osservazioni.
      1. E’ chiaro che, visto da una certa prospettiva, il tema economico è sempre dominante considerata la pervasività che tale elemento intrinsecamente possiede. Semmai l’errore che da Marx in poi si è spesso commesso è di considerarlo l’unico o, comunque, quello sempre prevalente. Al contrario, molti autori, per esempio Karl Popper, Oswald Spengler, Samuel Huntington ma anche il citato Per Yascha Mounk e altri se ne potrebbero aggiungere, ritengono che esistano elementi definiti “culturali “ (sapendo che tale definizione è molto ampia e si presta a interpretazioni anche discordanti) o se vuole “non economici” che condizionano le scelte dei popoli, ovviamente in concorso con gli elementi prettamente economici. Faccio un esempio. E’ indubbio che la presenza più rilevante che in passato di migranti e profughi abbia prodotto un effetto sulle popolazioni oriunde dei paesi occidentali. Stili di vita diversi che irrompono nella vita delle persone creano shock culturali. Ciò premesso nessuno vuole evidentemente sminuire la portata dell’elemento economico. Sono abbastanza d’accordo sul fatto che la globalizzazione attuata tramite decisioni di organismi sovranazionali come UE, WTO, etc. presenta dei deficit democratici. Dico abbastanza perché in realtà le strutture globali non piovono dal cielo, ma perché governi sovrani, nel caso dei paesi occidentali anche democratici, hanno deciso di crearle sottoscrivendo degli accordi. Il deficit, a mio avviso, è prodotto dal fatto che quando i centri decisionali si allontanano troppo dagli elettori e sono frutto di organi eletti da delegati e non dal corpo elettorale, un problema si presenta. Il populismo ed il sovranismo, o se vuole il nazionalismo, è una evidente reazione a questo deficit ed al fatto che la globalizzazione assieme all’evoluzione tecnologica, pone le basi per uno smottamento verso il basso di gran parte delle classi medie dei paesi occidentali. Che poi le ricette proposte da sovranisti e populisti funzionino è da vedere.
      2. La sinistra, a mio avviso, non possiede una ricetta per risolvere i problemi della globalizzazione. Le ricette basate sul welfare state presupponevano gli Stati nazionali. Che con la globalizzazione hanno demandato compiti e poteri a organismi sovranazionali. Dunque la sinistra è in cul de sac. L’unica possibilità che ha, a mio avviso, è cambiare parte del suo elettorato, ponendosi come l’alfiere della società aperta e multiculturale. Questo comporterà la perdita di parte dei voti dei ceti popolari. Ma potrà acquisirne altri. Se rimane sulle vecchie ricette è destinata a vedere il suo peso ridimensionato perché i sovranisti sono più credibili nella difesa degli svantaggiati della globalizzazione. Anche se le ricette che propongono sono a mio avviso illusorie
      3. per ridurre salari e conquiste non è necessaria l’immigrazione. Esiste sempre per le aziende la possibilità di delocalizzare. I lavoratori che vengono in Italia o altrove spesso fanno lavori che noi non siamo più disponibili a fare. Infatti, ad andarese da questo paese a differenza del passato, non è la manodopera meno qualificata ma i più qualificati. Con impoverimento importante del capitale umano. Se perdiamo un ingegnere non è come se perdiamo un operaio (per inciso mio nonno per 25 anni ha fatto l’operai a Philadelphia).
      4. Sull’ultimo punto da Lei sollevato credo ci sia un equivoco. Noi non siamo la sinistra. Siamo un gruppo di cattolici democratici che su alcuni punti la pensa anche in modo difforme. E anche io sono stato democristiano. Ma la dottrina sociale della Chiesa, a me sembra, non spinga molto sullo statalismo come facevano socialisti e comunisti. Quanto piuttosto sulla sussidiarietà, sui corpi intermedi. Quindi distingue la socializzazione dalla statalizzazione. Anche perché abbiamo uno Stato in Italia che è già pervasivo, inefficiente e non dà segni di redenzione. Meglio il privato associato sia per le attività profit che per quelle non profit. Lo Stato dovrebbe più regolamentare e far rispettare meno regole più chiare. Infine, alcuni slogan di FI non erano sbagliati, ma non li hanno mai attuati.
      Con questo spero di aver risposto e con l’occasione le formulo i miei cari uguri di buone festività

      • Ricambiando i graditissimi auguri di auguri di Buone Feste e ringraziando per l’attenzione rivolta al mio intervento, mi permetto di fare, molto schematicamente, qualche puntualizzazione.
        1- Non intendevo dire, come anche lei giustamente rileva, che il tema economico sia l’unico, ma è l’unico che ha i mezzi per condizionare gli altri. Il deficit democratico dei Trattati Europei è sotto gli occhi di tutti; faccio notare che le rarissime volte in cui il popolo sia stato chiamato ad esprimersi in merito, lo ha fatto in modo contrario (oltre alla Brexit vedansi i casi della Costituzione Europea bocciata dal voto in Francia e Paesi Bassi e del referendum greco).
        2- La mia critica non voleva assolutamente negare che si possano avere idee diverse sul ruolo della sinistra o altro, ci mancherebbe. Ciò che mi dispiace, ed è il motivo che mi ha portato a scrivere, è che le persone formino le proprie opinioni sulla base di menzogne,propagandate come verità assolute, e di disinformazione.
        Le ricette dei cosiddetti sovranisti, poi, non sono altro che l’applicazione della Costituzione, applicazione che nel secondo dopoguerra ha portato un benessere diffuso tra le varie fasce sociali della popolazione come mai prima di allora.
        3-E’ verissimo, non è solo l’immigrazione ad essere necessaria per comprimere salari e diritti, è solo uno dei fattori; ci sono poi tanti altri vincoli di cui mai si parla nei media dominanti; cito,come esempi, il NAIRU e il NAWRU, inseriti nel fiscal compact, nei quali si stabilisce quanta disoccupazione sia necessaria per queste finalità (in una Repubblica fondata sul lavoro).
        4- So per certo, anche per conoscenze personali, che questa non è la sinistra, ho solo colto, in alcune espressioni dello scrivente, un certo orientamento. Mi scuso se ho male interpretato.
        Per concludere, non voglio addentrarmi nella dottrina della Chiesa e del suo rapporto con lo Stato, mi limito ad osservare che non può esserci ridistribuzione della ricchezza e attenzione verso i più deboli (come predica il Vangelo) se non attraverso uno Stato sociale efficiente; il mercato lasciato libero a se stesso avvantaggia sempre i più forti.

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