“Dalla parte giusta”

Evasio Soraci

Così la partigiana Fasulin, al secolo Enrica Morbello Core, intitola il suo libro di memorie scritto alcuni anni or sono (ENRICA MORBELLO CORE, Dalla parte giusta, Casale Monferrato, 2006). Vi ripercorre la sua vita, sino all’incontro con Dino (Secondo Core), che diventerà poi suo marito; la loro epopea partigiana in Val di Susa, sino ai primi decenni del dopoguerra. Dino è mancato nel 1982, mentre Enrica, nata a Casale Monferrato il 28 febbraio 1922, è tuttora una lucidissima e arzilla novantenne, che ha mantenuto gli ideali, la forza d’animo e la dolcezza di Fasulin.

Fig. 1 – Una foto di Enrica e Dino da giovani, così come compaiono sulla copertina del libro.

Come geografo (dedito soprattutto alla geografia culturale) sono stato particolarmente colpito dai viaggi, dagli spostamenti sul territorio, prima di Enrica adolescente con i suoi familiari o da sola, poi con Dino, anche durante il periodo della lotta partigiana. Taluni di questi viaggi sono significativi e notevoli per quei tempi, e colpisce come, per Enrica, aprano la mente e contribuiscano ad un allargarsi, anche a livello mentale, degli orizzonti spaziali. Colpiscono anche alcune sue descrizioni paesaggistiche. E’ come se questa apertura di orizzonti spaziali abbia contribuito a schierarsi  nel 1943 – 1945 appunto dalla parte giusta, nella lotta per la libertà contro il nazismo e il fascismo, come pure ad alcune importanti battaglie del dopoguerra: il consolidamento della democrazia, la scelta repubblicana, la Costituzione, il voto alle donne.

Per la verità c’è anche, per me, un aspetto umano che mi ha legato e mi lega ad una donna intelligente e dolcissima come Enrica, e che mi ha legato, anche in alcuni anni di comune militanza politica, ad Enrica e a Dino.

Abbiamo visto che Enrica nasce a Casale, e vede la luce nella stessa casa (vedi fig. 2) in cui ancora oggi (pur con le modifiche avvenute nel tempo) abita.

Fig. 2 – Dalla pianta della città di Casale  si individuano i luoghi (vie, piazze, edifici) dove avvengono i movimenti di Enrica, descritti nel libro, all’interno della sua città, visto come lo spazio abituale, familiare, posseduto mentalmente nei particolari. La freccia indica dove si trova la casa, all’incrocio tra corso Valentino e via Bruno Buozzi, attigua al canale Lanza (Elaborato da: Pianta di Casale Monferrato e dintorni, Edizioni Geo Cartografiche Marcuzzi Geom. Angelo, Mortara).

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E’ ancora piccola quando compie un viaggio (forse il primo) per un pic-nic  con la famiglia in collina, a Crea, luogo legato al culto mariano, con un santuario e una via sacra segnata da 23 cappelle in salita (per i luoghi dei viaggi e degli spostamenti sul territorio del Monferrato casalese vedi la fig. 3).

Fig.3 – Il Monferrato casalese (elaborato da cartografia comunale).

 Enrica ha ancora con precisione in mente il viaggio: in treno fino a Serralunga, poi da lì una diligenza li porta al Sacro Monte.

In seguito arrivano dei parenti dall’America. Come sappiamo l’emigrazione transoceanica era iniziata a fine Ottocento e, con alterne vicende, era ancora presente all’epoca della narrazione di Enrica, e lo sarà poi ancora nel dopoguerra. Qui gli orizzonti spaziali si aprono anche in modo un po’ fantasticato, in quanto descrizioni e racconti dei parenti fan galoppare la mente e la fantasia verso la mitica America.

Più grandicella lo spazio vissuto di Enrica si amplia ancora, per quel che riguarda l’Italia, grazie questa volta ad una visione diretta dei luoghi. Si tratta di un viaggio in auto a Merano, attraverso le Alpi, i Resinelli, San Martino di Castrozza, passo Rolle, Predazzo. Ma poi si prosegue ancora per Mestre, quindi in battello sino a piazza San Marco a Venezia. La visione è ammirata, estatica, comprese le visite all’isola di Murano e al Lido “Era la prima volta che vedevo una spiaggia”. Del resto ho avuto modo di constatare anche in altre mie ricerche sulla percezione dello spazio, l’importanza e il significato della prima visione del mare. Ma possiamo anche ricordare Pavese (es. La luna e i falò), quando si fantastica che il mare lontano appaia al di là della collina più alta.

Enrica ha poi modo di constatare la presenza nelle colline attorno a Casale, verso l’area Vialarda – Rolasco – Coniolo, la presenza delle cave, per l’estrazione della marna, della pietra da cemento, che alimentava la produzione dei diversi cementifici presenti a Casale, fulcro per lunghi anni dell’economia del Casalese, tra cui l’Eternit che, con la lavorazione della fibra di amianto, provocò una vera e propria strage, con malattie mortali come il mesotelioma, non solo tra i lavoratori dello stabilimento e i loro familiari, ma anche tra i cittadini di Casale e aree contermini.

A 14 anni ha occasione di visitare a Torino il Museo Egizio, ma anche Palazzo Reale e Palazzo Madama, quindi un primo contatto col capoluogo piemontese.

Ma è col 1937 che arriva il viaggio che apre in modo sorprendente gli orizzonti spaziali di Enrica: Parigi, la favolosa Parigi, a lungo considerata capitale della cultura, delle arti, dello spettacolo, del divertimento, delle innovazioni, delle idee nuove e d’avanguardia. Intanto il viaggio, abbastanza eccezionale per quei tempi: in treno da Casale alla stazione di Torino Porta Nuova; da lì un altro treno per Parigi, alla Gare de Lyon. Da lì un bus li porta all’hotel in rue Conservatoire, vicino al Boulevard des Italiens, alla Zecca di Francia e alle Folies Bergères. E in una visione sempre viva, meravigliata, ammirata, sfilano agli occhi della ragazzina la Senna (chiese, palazzi, monumenti, edifici visti dal battello),  l’Esposizione Internazionale, la tomba di Napoleone, Les Invalidea, il giardino zoologico, Notre Dame, e infine anche una puntata a Versailles.

I luoghi montani vengono toccati in un successivo viaggio: Casale  – Chivasso – Chatillon – Cervinia.

Ormai signorinetta, con coetanei, si reca in treno alla stazione centrale di Milano. Da lì un treno per la val Malenco, fino al lago Palù, quindi la salita al monte Motta e al rifugio Marinelli. Colpisce la sua descrizione estatica del paesaggio montano.

Poi tornano gli spazi del vicino geografico, che sempre di più appaiono mentalmente posseduti, così come la sua città di Casale, da Enrica. In bicicletta diretta a Cereseto, a fare acquisti in un negozio di alimentari: Pozzo Sant’Evasio (frazione di Casale), Ozzano, e poi, nei pressi di Serralunga prende sulla sinistra  una ripida e faticosa salita per Cereseto.

Viene poi un viaggio a Milano, a trovare parenti e amici. Il viaggio non è molto dissimile da quello che si potrebbe fare oggi. A Casale prende il treno per Mortasa, e lì la coincidenza per Milano. Scende in Centrale. I cugini abitano in corso Washington. Vive a pieno l’atmosfera della metropoli, frequenta teatri e cinema.

Nella primavera del 1942 (siamo nell’area planiziale orticola verso il Valenzano) va a Bozzole. E’ particolarmente descritto il viaggio di ritorno: Bozzole, Valmacca, Ticineto, Casale.

Poco dopo avviene l’incontro con Dino, che diventerà poi suo marito. Dino è in quel periodo militare ed è appena stato in Francia.

In agosto è il primo viaggio insieme in quella che sarà poi l’area delle loro imprese durante la vita partigiana: la Val di Susa e Condove. Prendono il treno per Torino, quindi un altro treno, una “locomotiva vecchiotta”. L’albergo della zia Adelina ha un aspetto “spartano”, posto sulla provinciale Torino – Bardonecchia; sul retro aveva l’orto ed i binari della stazione ferroviaria. Distante diversi chilometri, ma da lì nelle giornate chiare individuabile: la Sacra di San Michele.

Fuori dal Casalese ma vicini all’area monferrina rimaniamo con Asti, ad incontrare i genitori di Dino. Poco dopo un viaggio in treno a Castell’Alfero, nell’Astigiano, li porta a fare visita ai parenti di Dino. La casa degli zii era vicina alla stazione, quindi nella parte bassa del paese.

10 gennaio 1943: Enrica e Dino si sposano.

Il loro viaggio di nozze (allora non si pensava –né ce ne sarebbero state le possibilità- a lontane mete esotiche) è il seguente: in treno il percorso Casale – Mortara – Milano porta Genova. Un taxi li porta alla stazione centrale. Lì un altro treno li porta a Brescia e quindi a Desenzano del Garda. Prendono un taxi che li porta a Gardone Riviera. Il ritorno sarà assai travagliato (eravamo del resto ormai pienamente in periodo di guerra). In treno da Gardone a Salò; si cambia treno, per Brescia. Lì altro cambio e si raggiunge Milano. Nuovo cambio: treno per Torino ed un altro ancora per Condove. Dopo una visita ai parenti, di nuovo in treno per Torino. Altro cambio: per Asti; e poi finalmente l’ultimo treno che li fa rientrare a Casale.

Poco dopo a Enrica capita di essere da sola in treno per Asti, e in quella occasione incontra lo scrittore Cesare Pavese. Pavese, ricercato dai nazifascisti, nel periodo settembre 1943 – aprile 1945 si rifugia, sotto falso nome, a Casale presso il Collegio Trevisio retto dai Padri Somaschi, dove impartisce alcune lezioni private agli studenti. Trascorre i fine settimana (da qui la sua presenza su quel treno) a Villa Mario a Serralunga, presso la sorella.

Dino intanto aveva maturato idee antifasciste (aderirà poi al partito Comunista), per le quali non era estraneo il rapporto ed il dialogo aperto e intenso che ebbe sempre col padre di Enrica, artigiano a capo di un laboratorio di lavoro del legno e creazione di mobili, un vero e proprio artista del legno, di idee socialiste. Per cui dopo l’8 settembre abbiamo la fuga della nostra coppia a Terruggia, presso gli zii Ida e Luigi.

“Pietro (padre della zia e nonno di Enrica, ndr) (…) andava oltre i confini, portava vino e granaglie a Genova, a Torino, a Biella e a Milano. Considerando l’epoca, erano viaggi importanti” (p. 107).

Poi sono ancora ad Asti dai genitori di Dino e da un amico che si occupava della preparazione di documenti. Enrica ci descrive poi il lavoro di Carlin, padre di Dino, a Callianetto, dove aveva del terreno (ci andava in bici). Il clima del pieno tempo di guerra è visibile con altri viaggi ad Asti, che spesso avvengono su carro bestiame, in quanto le carrozze – passeggeri erano requisite dai tedeschi.

Un incarico segreto di Dino li porta a Brescia. Alla stazione di Milano vi è per loro un drammatico impatto con gli ebrei deportati.

Dino inizia a cercare contatti con  esponenti della Lotta di Liberazione.

La costruzione di una rete di resistenza al nazifascismo li porta ancora (in un clima ben mutato, fatto ora di fatiche e pericoli continui) in bicicletta sulle colline monferrine.

E’ nel luglio 1944 che Dino parte per la Val di Susa  a fare il partigiano (fig. 4).

Fig. 4 – I luoghi della Resistenza di Dino e Enrica. Infatti, verso est dell’area visualizzata dalla carta sono individuabili le località  di Condove, Mocchie, Rocca.

A Condove, con un amico operaio che aveva appena finito il turno di lavoro in fabbrica, salgono in montagna, alla frazione La Rozi (La Rocca). Qui Dino contatta Bill, comandante di distaccamento; la brigata (che faceva parte delle Garibaldi) era comandata da Osvaldo Negarville.

Il modo di far recapitare a Enrica le lettere di Dino era davvero rocambolesco. Ciò avveniva utilizzando diversi “portalettere” collegati ai partigiani. In genere l’itinerario delle lettere era il seguente: Condove – Grugliasco – Torino – Collegno – Casale.

Intanto Dino è nominato commissario del distaccamento di punta della Rocca di Condove.

Nel terribile inverno del 1944 vi è l’avventuroso viaggio di Enrica a Condove per incontrare Dino.

In seguito entrare in possesso di una lettera del marito partigiano si rivela una vera e propria avventura. Enrica e sua madre prendono una zattera per attraversare il Po. Fino all’altra riva e poi sette chilometri a piedi. Attraversano Casale Popolo (frazione di Casale, verso l’Oltrepò), fino a Balzola.

L’11 gennaio del 1945 anche Enrica parte con Dino (che era clandestinamente rientrato a Casale per una breve permanenza) per affiancarlo nell’attività partigiana, per Condove. Di nuovo il traghetto sul Po. A p. 156 vi è una bellissima immagine ( che un po’ ricorda l’ addio monti manzoniano) del saluto col fazzoletto nella nebbia, ai parenti che li avevano accompagnati in riva al fiume. Arrivano all’altezza del cimitero di Casale Popolo. Quindi a piedi, e sempre cercando di stare il più nascosti possibile, fino a Morano, imboccando poi la strada per Trino. Lì incontrano un uomo con cavallo e calesse. Arrivano a Trino, quindi toccano Crescentino e Brusasco. Da lì un, come si diceva allora, tramvaìn, un trenino a scartamento ridotto che correva sul ciglio della strada, li porta a Torino. Da lì arrivano alla fine alla stazione di Condove. Qui anche Enrica incontra i rappresentanti del CLN. Collabora, in un ufficio ricavato da un capannone, coi partigiani, come giornalista del foglio clandestino “Gioventù valsusina”.

Dopo qualche tempo va a trovare Dino in montagna. Attraversa Condove, supera la piazza e inizia la salita per la zona detta le Mura. Sale la mulattiera; l’appuntamento era alla frazione Mocchie: “Mocchie era bello, era come una terrazza da cui si dominava la cittadina di Condove, come un balcone”. Dopo l’incontro con Dino, si muove per tornare a Condove, mentre il marito prende la salita per Prà du Rì.

Il lavoro clandestino di Enrica si fa sempre più pericoloso, stretti dai tedeschi come in una morsa; così raggiunge Dino in montagna per arruolarsi come partigiana vera e propria. Entra a far parte della 114° Brigata Albertazzi. Sempre efficaci sono le descrizioni degli ambienti montani in cui si muovono i partigiani. A volte scendeva a Rocca di Mocchie, frazioncina ad una altitudine di 1200 metri, con pochi abitanti, sede del distaccamento di punta. Nota la montagna coltivata a terrazze, pensando al secolare e duro lavoro contadino,  che ha plasmato quel paesaggio, “piccoli spazi di terreno rubati alla roccia” (p.190). Vi venivano seminati patate e orzo. “Con il latte facevano il burro e il formaggio, che poi gli anziani portavano a Condove il giorno del mercato” (p. 190).

Di pattuglia. “A volte certi alberi parevano esseri umani” (p.191). Ricorda certe immagini pavesiane, ad esempio de La casa in collina.

Un’ altra bella ed efficace descrizione paesaggistica troviamo a p. 194:

“una vecchia grangia, a ridosso di una striscia di castagneti e di territori montuosi. A monte vi erano i calanchi riarsi della Val di Susa e intorno i paesi e le frazioni sparsi tra colline e boschi. A valle scorreva la Dora Riparia, esile lama d’acqua, tra l’immenso paesaggio verde”.

Altre bellissime descrizioni paesaggistiche si trovano a p. 195. E qui Enrica pare consapevole, come lo sono gli studiosi di geografia culturale, che il paesaggio non è solo visivo, percepibile con la sola vista, ma è un complesso variegato, ricco di informazioni per noi, in cui entra anche la soggettività, elemento complesso che si coglie, si può cogliere, non con la sola vista ma con tutti i sensi. E qui Enrica sembra essere particolarmente attenta ai paesaggi sonori:

“Quella Pasqua fu una giornata di sole. Il monte Civrario era ancora carico di neve, tutto bianco. Il vento ci portava l’eco dei rintocchi delle campane della chiesa di Condove e di Mocchie”.

E poi ancora: “La valletta era attraversata da un ruscello, che si divertiva  a disegnare pittoresche cascatelle” (p. 200).

“La primavera incominciava a intiepidire l’aria, già in qualche prato spuntava un po’ di verde e più in basso verso la Rocca di Mocchie qualche margheritina occhieggiava” (p. 202).

A p. 207 la soggettività entra fortemente nel paesaggio, che dopo il rastrellamento sembra assumere tinte tristi e cupe:

“Sinistramente la zona era illuminata dai bagliori dei fuochi appiccati dai tedeschi, bruciavano le grange (…) I bagliori delle fiamme rendevano ancor più desolato il paesaggio: pareva di vedere delle ombre aggirarsi”.

Ben diverso è lo stato d’animo, e conseguentemente anche la descrizione dei paesaggi, quando, sconfitti fascisti e nazisti, il 26 aprile 1945 i combattenti per la libertà calano a Torino:

“Si giunse sopra le mura di Condove, si proseguì per la mulattiera a mezza costa evitando di attraversare il paese, per prendere la provinciale del Moncenisio” (p. 214). Passano da Buttigliera Bassa, transitando davanti allo stabilimento FIAT “Le Ferriere”, quindi toccano Rivoli, Collegno, Cascine Vica, fino a giungere a Torino in corso Francia, dove un presidio partigiano si era costituito presso la centrale elettrica del Martinetto.

Dopo qualche giorno: da Condove a Casale. La guerra è veramente finita!

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