Governare o subire

Domenicale Agostino Pietrasanta

Lo sbarco dalla Fregata Espero al porto di Trapani dei 424 immigrati soccorsi a largo di Lampedusa dalla Marina militare, 1 maggio 2014. ANSA/GIUSEPPE LAMI

Non si tratta di emergenza; parecchi finalmente lo affermano, pochi ci credono sul serio ed ancora pochi agiscono di conseguenza. E tuttavia la pressione dei popoli della fame sulle frontiere dell’opulenza o ritenute tali, non è condizione episodica, per quanto allarmante, è solo la punta dell’iceberg dei rapporti che si stanno instaurando tra popolazioni di diversa cultura, religione mentalità e condizione socio/economiche. Ed è fenomeno epocale inevitabile:i processi di globalizzazione creano contatti a livello mondo e conseguentemente inducano attacchi al benessere da parte di chi ne è escluso. Si tratta di processi sempre presenti nella storia dell’umanità; Machiavelli, in una delle pagine più lucide del secondo libro dei “Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio” parla di popolazioni che, spinte da necessità, si muovono compatte dai loro paesi per raggiungere un sicurezza di sopravvivenza accettabile; e non si fermano davanti ad alcuna difficoltà, senza escludere azioni disumane e crudeli.

Oggi però siamo di fronte ad una situazione inedita perché mentre, ed ovviamente, nell’analisi secca ed asciutta di Machiavelli, veniva rilevato un fenomeno interno ai continenti, ora la vicenda è globale, mondiale. E così assistiamo alla masse di profughi che si accalcano alle più diverse frontiere che vengono ora aperte ora chiuse, senza un piano razionale di accoglienza, come se fosse possibile evitare presenze ormai evidenti, fatte drammatiche da spostamenti, documentati dai media,  da scontri sulle spiagge, lungo le linee ferroviarie, nei pressi delle vie di comunicazioni autostradali, con gruppi in fuga, inseguiti dalle polizie dei vari paesi occidentali. C’è l’immagine di un’invasione disordinata, generalmente subita e sempre penosa; di una tragedia fatta di morti, di vittime innocenti e di approfittatori insensibili ad ogni senso di umanità. E l’Occidente, Europa in testa, balbetta: ora dice si, ora dice no; più spesso dice nì. E così invece di programmare un governo degli eventi se ne subiscono le conseguenze, perché le vicende sono in corso e sono irreversibili. Al punto che più nessuno, neppure i più “accecati” osano più sbandierare le loro provocazioni sui respingimenti.

E sarà bene anche ribadire che non stiamo solo parlando di popolazioni che nei loro paesi subiscono guerre, violenze e persecuzioni; parliamo di tutti coloro che si sono affacciati sulle soglie di una civiltà che sembra offrire una condizione di speranza socio/economica, un più sopportabile livello di benessere. Sarà bene tenerne conto, indipendentemente dal gradimento che potremmo esprimere per questo carattere dell’evento, anche per rintuzzare chi ricorre a distinzioni che potrebbero anche essere ragionevoli, ma che non corrispondono alla realtà della situazione di fatto, “alla realtà effettuale della cosa” (sempre per ricordarci di Machiavelli).

Qui però, e prima di concludere, vorrei richiamare quanto mi pareva plausibile, circa l’accoglienza, in un intervento di qualche settimana addietro: le possibilità offerte dai luoghi e dagli spazi vuoti di proprietà delle Chiese locali. A me continua a convincere il ragionamento che si tratta di contribuire ad affrontare un problema e contestualmente, in via subalterna, a preservare dalla fatiscenza locali disabitati e destinati alla decadenza. Mi si obietta, e non senza intelligente responsabilità, che certe scelte comportano l’uso ed il traffico di danaro pubblico, cosa sempre pericolosa e soprattutto per la Chiesa, chiamata a svolgere un’opera di gratuità; non sarò certo io a contrapporre le condizioni fatte all’otto per mille, dico solo che non intacca minimamente lo spirito di gratuità usare dei mezzi che potrebbero preservare dalla rovina locali di straordinaria espressione talora anche artistica. Basterebbe assicurare la trasparenza dei bilanci, in capo alle responsabilità più cospicue delle Diocesi; non bastano più i pur necessari oratori, le pur necessarie adunanze giovanili per rendere presente una pastorale adeguata. Necessita la presenza costante dei vertici apicali e la chiamata delle più diverse componenti impegnate, magari anche quelle laicali, senza esclusioni ed emarginazioni.

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